Lupus. In Italia colpite 30mila persone, 1 su 4 presenta in esordio nefrite lupica. Serve diagnosi precoce

Favorire una crescente collaborazione tra clinici, medici di famiglia e associazioni di pazienti per contrastare l’avanzata del lupus eritematoso sistemico. È questo l’auspicio che arriva dal convegno “Lupus: focus su cause e sintomi di una patologia complessa”, promosso lo scorso 24 ottobre a Roma, presso Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, per volontà del Senatore Ignazio Zullo. Parole d’ordine: diagnosi precoce, approccio multidisciplinare e terapie innovative.

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia reumatica cronica autoimmune che coinvolge il sistema immunitario e colpisce vari organi e tessuti, che nei casi più critici possono rimanere danneggiati dal peggioramento della malattia. È una patologia che colpisce prevalentemente giovani donne in età fertile, ma può manifestarsi in tutte le fasce d’età, anche tra i bambini molto piccoli. Il rapporto donna-uomo è di 6-10:1, ma in età pediatrica e dopo la menopausa, il rapporto si riduce a 3:1.

“In Italia la prevalenza della malattia è circa 40-50 casi ogni 100mila persone quindi in Italia possiamo dire circa 30 mila persone sono affette da Lupus eritematoso sistemico”, ha precisato Gian Domenico Sebastiani, presidente nazionale della Società italiana di reumatologia (Sir). Inoltre, “in un caso su quattro, all’esordio di malattia, i pazienti sono colpiti anche da nefrite lupica con interessamento renale. Questa percentuale sale al 50% se consideriamo il decorso di malattia. I sintomi iniziali, quali febbre, astenia, malessere generale, artralgie, sono spesso aspecifici, e questo è uno dei motivi che contribuisce alle difficoltà diagnostiche”, ha proseguito l’esperto. A causa di questa a-specificità dei il ritardo diagnostico in Italia è ancora molto elevato.

Da una ricerca condotta dal Gruppo di Studio sul LES di recente insorgenza della Società Italiana di Reumatologia, coordinato personalmente da Sebastiani da più di 10 anni, è emerso che il ritardo diagnostico “nel nostro paese è ancora notevole, in media 20 mesi. In aggiunta alle difficoltà diagnostiche legate alla complessità del quadro clinico, contribuiscono al ritardo diagnostico la scarsa conoscenza della malattia da parte dei medici e della popolazione in generale, e la scarsa presenza di strutture reumatologiche di riferimento negli ospedali e presidi territoriali del Servizio Sanitario Nazionale. Il paziente affetto da LES viene spesso visto da specialisti diversi dal reumatologo, che non sempre sono in grado di riconoscere la malattia”.

Come precisato da Sebastiani, il ritardo diagnostico genera gravi ripercussioni per il paziente e per la collettività, “in quanto nel lasso di tempo che intercorre tra l’esordio della malattia e il riconoscimento diagnostico, il paziente accumula danno irreversibile a carico degli organi e apparati colpiti. Ad oggi disponiamo di farmaci molto efficaci che, sotto la guida del reumatologo esperto, sono in grado di modificare favorevolmente il decorso e la prognosi della malattia, con notevoli vantaggi per il singolo individuo e per la collettività in termini di risparmio sulla spesa sociale, dal momento che il danno è direttamente correlato all’invalidità”.

Diversi gli effetti di questa patologia, che causa disturbi in varie parti del corpo, specialmente la pelle, le articolazioni, i reni, il sangue e ogni tipo di tessuto connettivo. Nasce da qui l’esigenza di un approccio multidisciplinare, che metta a confronto competenze e specializzazioni diversi al fine di garantire la migliore assistenza per pazienti e famiglie.

È soprattutto il rene a subire le conseguenze più pesanti legate all’aggravarsi della malattia, in particolare a del ritardo con cui viene diagnosticata. “Il 25-50% dei pazienti con LES sviluppa una complicanza renale, la nefrite lupica, con inizio insidioso e con un quadro clinico variabile, da lieve a grave che spesso evolve verso quadri di malattia renale avanzata, con possibile ricorso alla dialisi o al trapianto renale”, ha spiegato Stefano Bianchi, Presidente della Società Italiana di Nefrologia (SIN). “È necessario che ogni paziente che sviluppa un LES esegua semplici e poco costosi esami ematici e urinari, in grado di evidenziare la presenza di un problema renale, spesso silenzioso ma con una prognosi sfavorevole, se non adeguatamente curato. La Nefrite lupica è curabile con terapie impegnative ma efficaci. Attualmente si sono resi disponibili nuovi farmaci, sicuramente efficaci e provvisti di un buon profilo di sicurezza e tollerabilità, che hanno ampliato le possibilità di curare efficacemente la nefrite lupica. Diagnosi precoce e tempestivo inizio di terapie sempre più efficaci, fanno intravedere un futuro migliore per i pazienti che presentano questa frequente e temibile complicanza del LES”. L’iter diagnostico della nefrite lupica deve dunque iniziare al momento della diagnosi di Lupus. Solo intercettando una complicanza renale precocemente si può evitare un danno renale permanente derivante dal nefrite lupica.

I sintomi principali del lupus possono essere generici e rendere più complesso il processo di diagnosi: stanchezza, dolori o gonfiore articolare, eruzioni cutanee, febbre, dolore al petto, psicosi e convulsioni. Molti dei disturbi sono simili a quelli riscontrabili in altre situazioni comuni e per diagnosticare la patologia è necessario sottoporsi ad accertamenti specifici. Per i medici di medicina generale, la diagnosi precoce rappresenta la vera sfida da affrontare: “La sinergia tra medico di medicina generale e specialista è fondamentale soprattutto per i pazienti, che utilizzano un tramite informativo e di percorso clinico che spesso, purtroppo, è esile o in alcuni casi interrotto”, ha detto Fabio Valente, Vice Segretario Vicario Fimmg Roma. “L’utilizzo della condivisione informatica dello stato clinico del paziente è un passaggio fondamentale per i percorsi sulle patologie (PDTA) ancora largamente non applicati. Basta questo per migliorare la qualità delle cure? No, ma sarebbe un passo in avanti importante per avere una sanità più rispondente alla domanda di salute dei cittadini. La condivisione del percorso diagnostico e delle cure mediche inoltre avrebbe un effetto molto positivo sulla appropriatezza degli accertamenti e delle cure”.

La ricerca è un tassello fondamentale. Come ricordato da Alessandro Lattuada, amministratore delegato di Otsuka Pharmaceutical Italia, la storia di Otsuka nasce 102 anni fa con la volontà di cambiare la salute delle persone nel mondo. Da allora tanta strada è stata fatta fino al 2022 quando sono stati investiti in ricerca quasi 1,7 miliardi. “Ma non è tanto importante la cifra – ha precisato Luttada – quanto la filosofia, l’obiettivo che è quello di avere una conoscenza accurata e profonda dei bisogni dei pazienti e di tutte le parti in causa. Spesso quando si parla di intelligenza artificiale e di macchine si dice che sono frutto di intelligenza collettiva perché acquisiscono i dati di tutto il mondo. Ci piace pensare – ha proseguito – che anche un trattamento farmacologico sia frutto di una intelligenza collettiva perché coinvolge tutte le parti, non solo la ricerca clinica, ma anche i bisogni del paziente, gli input dei medici, dei caregiver e di chiunque entri a far parte di questo processo. Se vince il paziente vincono tutti, chi si occupa del paziente, i medici, le istituzioni, gli ospedali, le aziende produttrici dei farmaci, ma se perde il paziente, purtroppo, perdiamo tutti”.

E dunque dalle terapie innovative può arrivare una risposta concreta per pazienti, famiglie e caregiver. Il lupus, infatti, non rappresenta solo una malattia debilitante e potenzialmente mortale ma anche un aggravio psicologico che può trovare sollievo nella ricerca. “Il Lupus viene definito anche malattia dai mille volti: i sintomi possono essere scambiati con altre malattie, e questo, ancora oggi, può dare ritardi diagnostici”, ha detto Rosa Pelissero, Presidente Gruppo LES  “Il non sapere il perché dei dolori, della febbricola o di altri sintomi con cui si sta convivendo, può portare a sentirsi non compresi né dai curanti né dal sistema di relazioni che si intrattiene, comprese quelle lavorative. Nel lungo periodo, la convivenza con la malattia, la mancata accettazione della diagnosi, la difficoltà a parlare della patologia, può far manifestare anche ansia e depressione, a titolo di esempio. Con i proventi del 5×1000 finanziamo anche la ricerca, nella speranza che si possa conoscere sempre di più sulle cause del Lupus e che arrivino altri strumenti terapeutici capaci di contrastare e controllare la malattia”.

“Dai decisori politici ci aspettiamo che il SSN sia tutelato, che la Reumatologia continui a esserci in tutti gli Ospedali, che aumentino i centri di cura specifici per il Lupus e che ci venga data una maggiore tutela sul lavoro”.

La risposta è arrivata dal Senatore Ignazio Zullo, membro della 10ª Commissione permanente del Senato (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale), che ha precisato come con iniziative come questa continua quel percorso di sensibilizzazione e di “tenuta insieme” dei diversi attori che si occupato specificatamente di Lupus eritematoso sistemico. “Il nostro lavoro come maggioranza deve essere quello di rivedere i modelli organizzativi in funzione di nuovi e reali bisogni della popolazione con particolare riferimento a quelle che sono le malattie rare e gli affinamenti diagnostici che mettono in evidenza patologie nuove di cui non si conosceva nulla”, ha proseguito Zullo. “La ricerca progredisce e mette a disposizione nuove opportunità terapeutiche. In questo anno di legislatura ho potuto riscontrare quanto i temi delle patologie autoimmuni, come il LES, abbiano dei fili conduttori ed è per questo che con un gruppo di colleghi afferenti al Senato e alla Camera abbiamo deciso di riunirci in un Intergruppo Parlamentare ‘Prevenzione e cura delle malattie autoimmuni’ che presenteremo ufficialmente il 21 novembre 2023 e per il quale abbiamo chiesto la partecipazione delle principali Società Scientifiche e delle Associazioni di Pazienti”, ha concluso.

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